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lunedì 29 marzo 2021

Racconti di vite da Kaos semplici, forse famigliari ma che spesso nel Kaos non si colgono

Loreta Failoni, Gabriele Biancardi, Vite da Kaos. Storie di Voci al tavolo di un bar, Curcu&Genovese, II edizione. Febbraio 2020, ISBN 978-88-6876-239-1

Autore        Loreta Failoni

                    Gabriele Biancardi

Titolo           Vite da Kaos. Storie di Voci al                      tavolo di un bar

Editore        Curcu&Genovese

Edizione      II edizione

Anno            Febbraio 2020

Genere        narrativa, racconti

Isbn             ISBN 978-88-6876-239-1



Quindici racconti ambientati al Bar Kaos, un bar mitologico o esistito non è data a saperlo tranne che uno dei racconti parla del suo gestore Dazim.

Colpisce il primo racconto molto tragico ma che non arriva a conclusione  e che rimane aperto e si chiude a chiusura del libro come voler tirare le somme del libro. Nel primo racconto nella storia si fa riferimento ad un posto che realmente esiste in Trentino e che sembra portare l’ambientazione nella regione come a voler sottolineare che sono storie che possono accadere in qualsiasi bar anche della nostra zona. Il posto a cui si fa riferimento è il Ponte del Doss dei Servi noto anche tristemente come Ponte dei Suicidi in Giudicarie.

Si possono trovare in questi racconti scritti da questi due autori storie di persone comuni che si possono trovare nella realtà che possono avere collegamenti anche deboli magari a volte solo gestore e il bar che frequentano. Storie che possono esser tanto comune da apparire banali a volte, ma che spesso la quotidianità della nostra vita non ci porta a farci caso. A volte sono storie che nascondono disperazione e richieste d’aiuto  che spesso non si coglie. Nel primo racconto sembra che il marito nel dire alla moglie scrittrice che i suoi racconti finiscono sempre male di non  far morire Emma sembra cogliere questa richiesta aiuto.

Un libro che raccoglie racconti  dove non è possibile distinguere i singoli autori come autori del singolo racconti, ma che nelle sue 101 pagine di facile lettura tenute assieme dal gestore e dal bar  si da un godibile spaccato della società che può far riflettere sul nostro tempo senza troppo impegno. Non un capolavoro, ma un libro piacevole da leggere anche nel tempo libero magari mentre si è in attesa o viaggia in treno in quanto la struttura rende possibile con facilità staccare dal testo visto che ogni racconto è indipendente tranne per questa connessione debole col bar e il suo gestore.

giovedì 2 aprile 2020

Hollywood, ove delle anomime osse anonime possono raccontare molto

Autore Micheal Connelly

Titolo La città delle Ossa

Editore Mondolibri

Traduzione Mariagiuglia Castagnone

Copyright Edizioni Piemme Spa

Luogo stampaCasale Monferrato (AL)

Anno 2001

Genere Narrativa

Isbn 802226473042

Le feste di Natale, e le feste in generale, sono periodi di superlavoro per gli agenti di polizia. Dovuto all’aumento di suicidi e omicidi anche dovuto alla solitudine. E’ in questo contesto che il cane del medico Paul Guyot scopre sulla collina in Wonderland Avenue Hollywood delle ossa umane.

Bosch ed Edgard della divisione Hollywood vengono incaricati di seguire il caso. I colpi di scena, le fughe di notizie, gli arretramenti all’ordine dei giorno soprattutto quando si scopre che il cadavere risale a 30 anni prima.

La risoluzione del caso deve avvenire in breve periodo viste le dinamiche della divisione Hollywood, che si scaricano sull’agente del caso soprattutto se coinvolgono l’agente Bosh, che per primo viene investito del caso.

I passi falsi dell’agente Bosh è del suo collega creano suspance e sono funzionali a tenere viva la storia. La storia d’amore tra Bosh e Brasher si interseca col momento che i protagonisti vivono e col caso.

Tutta la storia piano piano si chiarisce nei tre piani in cui si svolge il caso, la vita di Bosh, e l’andamento del distretto. Oltre al caso è interessante seguire dei protagonisti anche secondari. Anche le dinamiche famigliari del cadavere di cui sono le osse sono interessanti.

Bosh come in un cerchio che si chiude fa intrecciare la vita di un indagato, tirato in ballo ingiustamente per il passato (come spesso nelle indagini può succedere), come ad espiazione di colpe che Bosh attribuisce alla madre.

Un bel giallo che si fa leggere agevolmente e che consiglio tranne, ai minori di 14 anni per le tematiche trattate.

domenica 23 dicembre 2018

Sacro e profano raccolto nell'Alberon che racconta una comunità

Curatore Matteo Melchiorre

Titolo Requiem requiem per un albero. Resoconto dal Nordest con l'inedito "i rami di Bob Marley"

EditoreEdizioni Spatarco

Anno 2007

Edizione Seconda Edizione

Genere Narrativa

Isbn 87-583-76-2

Il titolo Requiem per un albero sembra provocatorio, in quanto il requiem richiama qualcosa di sacro e importante ed accostato ad un albero può sembrare fuori luogo.

A volte però ci cono alberi come l'albero definito "Alberon", il quale fino al 2002 giaceva a Tomo, che diventano iimportanti fino a diventare luoghi. Ecco quindi che l'albergo e la sua storia diventa memoria della storia di un luogo e delle persone che lo vivono e che trovano la spunto dalla caduta dello stesso per raccontarsi. Spesso però nei racconti si arriva a toccare la percezione che della comunità raccolta attorno all'albero hanno le altre comunità.

A volte si può voler far l'esercizio di risalire all'età dell'albero e ed ecco che a seconda della persona che partecipa a tale sfida che si può trasformare in qualcosa di mitologico se la persona a sempre visto l'albero che può far risalire l'età in la nel tempo alla notte dei tempi.

Coi racconti dei cittadini di Tomo e con la documentazione ritrovata lo storico Matteo Melchiorre scrive la storia dell'Alberon di Tomo attraverso le testimonianze orale senza voler, seppur con approccio rigoroso della storia appesantire il racconto descritto come racconto.

Questa seconda versione è impreziosita da un inedito "i Rami di Bob Marley"che raccontano di un albero che ha messo le gambe. Non è che l'albero si è messo a farsi una canna e si vedeva con le gambe e gli pareva di camminare, ma come la musica di Bob Marley a camminato con il suo autore si è spostato coi suoi racconti di paese di paesi per raccogliere le storie simile o no che si incontrano attraverso persone che si incontrano. Se si vuole fare veramente arrivare a descrivere prendendo a prestito senza fare paragoni ne ledere maestà altrui si può dire che nel suo piccolo Melchiorre sembra fare il piccolo Tolkien e raccontarci una fiaba vera ricalcante lo stile del Signore degli annelli nella foresta dove due Hobbit si trovano, sebbene non la foresta conosciuta, a parlare co degli alberi che si muovono. E' questo forse che vuole essere i rami di Bob Marley un inedito dove si racconta i paesi toccati e le storie del rapporto di singoli individui e il rapporto con gli alberi della loro comunità.

Un viaggio quello proposto col racconto di Matteo Melchiorre che vale la pena percorrere perchè forse la conoscenza di questa piccola comunità può esser importante per porsi qualche domanda e chissà riscoprire in questo racconto anche qualcosa di noi stessi e della nostra comunità.